Studio la Città inaugura sabato 1 dicembre la mostra, curata da Marco Meneguzzo: no place like home, collettiva che vede esposti i lavori di Brian Alfred, Vincenzo Castella, Igor Eškinja, Anna Galtarossa, Alberto Garutti, Daniel González, Tracey Snelling e Hema Upadhyay.
Il titolo (non c’è nessun posto come casa propria) può essere letto in un duplice senso: letterale e ironico. Casa come rifugio, guscio, luogo sicuro, luogo franco, riparato da ogni pericolo, dove smettere l’abito sociale per assumere un abito esistenziale, individuale, personale, e invece definizione ironica, per cui la casa rappresenta l’establishment convenzionale da contestare e abbattere, in nome della libertà di vivere “senza tetto né legge”.
Gli artisti chiamati a rappresentare questo duplice aspetto, che a volte si presenta contemporaneamente nella stessa opera, indagano sull’eterno concetto dell’abitare, nella sua forma più evidente, la “casa”: ognuno di loro ne fornisce una versione, senza la pretesa di esaurire le possibilità di questo soggetto, e anzi abbandonandosi più alla memoria e alla sensazione che all’analisi e al ragionamento. É il soggetto che suggerisce e talvolta impone questo approccio “sentimentale”, intimo anche quando stabilisce semplicemente un perimetro murario alla casa, o ne fotografa gli spazi: è tanto forte il tema, tanto pertinente alla vita di ognuno che non se ne può astrarre, come invece si potrebbe fare se invece che di fronte a una “casa” ci si trovasse di fronte a un “edificio”. Di fronte alla casa si scioglie la scorza di cinismo che viene richiesta all’artista di successo, e anche dietro l’ironia con cui si può affrontare l’argomento spunta una specie di dolcezza in cui la memoria individuale gioca un ruolo fondamentale e coinvolgente. (Marco Meneguzzo, novembre 2018 – estratto dal testo di mostra).
In mostra sono presenti alcuni piccoli collages di Brian Alfred in cui il segno è dato dal colore della carta stessa. Qui le immagini risultano volutamente molto simili a disegni digitali, realizzati al computer, ma la natura tattile della carta dà loro un’identità più intima e sensoriale. Accanto a queste opere, alcune fotografie vintage, anch’esse di piccolo formato di Vincenzo Castella, mentre campeggeranno nella sala centrale le eclettiche installazioni di Daniel González (La Casa del Tiempo, un’architettura effimera realizzata con oggetti di una tradizionale casa veronese nella quale il pubblico potrà fisicamente addentrarsi in una nuova dimensione materiale e temporale) e Anna Galtarossa (Petit Trianon, installazione in movimento realizzata per l’occasione dall’artista a partire da un comune carrello della spesa). Il tema della casa, nell’idea di agglomerato urbano, talvolta soffocante e opprimente, è ben rappresentato anche dai lavori di Tracey Snelling ed Hema Upadhyay. Americana la prima, classe 1970, realizza sculture “sociologiche”, spesso integrate con riproduzioni video, in cui sono ricreate in piccola scala ambienti ed edifici provenienti dall’esperienza personale dell’artista, al limite del voyeurismo. La seconda invece, artista indiana prematuramente scomparsa, sviluppa nei suoi Killing Site, il tema dell’immigrazione, spesso verso grandi città, in costante legame con il caos urbano. Le sue opere descrivono i cambiamenti che hanno preso piede nella maggior parte delle città metropolitane di Mumbai, un paradiso per gli immigrati in India. Oltre all’installazione Che cosa succede nella stanza quando gli uomini se ne vanno? e a due grandi opere a parete di Alberto Garutti, in cui l’artista pone l’accento sull’idea di “spazio vissuto”, inteso come luogo di solitudine in cui l’essere si misura con il mondo, è esposto per la prima volta a Studio la Città il lavoro di Igor Eškinja. In mostra Welcome, una delle opere più rappresentative di Eškinja dall’inizio della sua carriera, creata con materiale di uso comune, in questo caso cartone assemblato a strisce. Nella composizione, realizzata attraverso l’illusione prospettica, l’artista dà vita all’immagine contraddittoria di una casa con la porta aperta attraverso la quale però, ci si scontra inevitabilmente con la parete.