Dopo averci accompagnato lungo la strada dell’arte mediale mostrando paesaggi “fluenti” e astrazioni ‘liquide’ nella mostra inaugurata il 15 giugno in questi stessi spazi, <strong>Davide Maria Coltro</strong> approfondisce ora la sua ricerca con la serie intitolata <em>Bruges</em> protagonista del nuovo allestimento che verrà inaugurato sabato 21 settembre alle ore 11 allo Studio la Città a Verona
“Queste nuove opere – spiega Coltro – proseguono la mia esplorazione del rapporto tra percezione, tempo e pittura. Le superfici digitali vibrano di luce e colore, con variazioni cromatiche che emergono gradualmente in un gioco sottile tra presenza e assenza. Questi lavori non sono oggetti statici, ma esperienze temporali che si svelano lentamente, richiamando la riflessione di Maurice Merleau-Ponty sulla percezione come immersione in un mondo in cui visibile e invisibile si intrecciano.
Ogni osservatore, dunque, partecipa attivamente al processo di scoperta e disvelamento dell’immagine. L’uso della tecnologia, culminata nella concezione del Quadro Mediale, espande i confini della pittura tradizionale, trasformando il movimento e la mutevolezza del colore in una dimensione vissuta direttamente.
Ogni opera è una finestra aperta sul processo pittorico in continuo mutamento sotto lo sguardo dello spettatore, un invito a rallentare che richiede tempo e attenzione per cogliere la complessità delle trasformazioni cromatiche. La pittura si libera così dal vincolo della staticità, diventando un evento fenomenologico, l’opera e l’osservatore co-creano un’esperienza unica e irripetibile”.
Una mostra che allarga i confini della pittura, unisce poesia e tecnologia, interroga sul tempo, costringe ad osservare lo sviluppo di un’attesa, rimanda ossimoricamente alla tradizione della pittura – forse non a caso il titolo Bruges – e si sfiora anche l’800 di Paul Signac e Georges Seurat, ma non c’è la staticità che la tela tradizionale impone: qui è movimento, variazione. Allo stesso tempo Coltro definisce anche un nuovo luogo dove l’artista opera, non più il luogo chiuso dello studio, ma uno studio aperto sul mondo.