Il lavoro dell’americano Emil Lukas (1963) si colloca da sempre a metà tra pittura e scultura. L’impiego poliedrico di materiali quali legno, gesso, stoffa, colla, vetro, tela, pittura, materiali organici, ferro e altro ancora, pone i suoi lavori in una condizione precaria tra l’una e l’altra dimensione artistica. Nelle sue opere passate Lukas ha dato vita a forme che, pur impiegando medium dalla spiccata consistenza rigida, evocavano sensazioni e condizioni dai tratti organici.
Nella sua personale presso gli spazi di Studio la Città di Verona (dove sono stati presenti lavori precedenti e più recenti in dialogo tra di loro) questo esile confine sembra in parte collassare. La tridimensionalità delle sue opere acquista ancora più forza. Gli elementi appesi nei lavori a parete sfondano ogni imbrigliamento residuo e permettendo alla materia di lievitare all’ennesima potenza. Un processo che trova il culmine massimo nella grande installazione dal titolo Curvature realizzata appositamente per gli spazi della galleria. Lukas ha deciso di non più accontentarsi di imprigionare tra i vetri insetti, sementi, fiori e materiali vari come accadeva in passato. Questa volta fa sul serio; il micro diventa macro e ad essere fisicamente ridisegnata è la forma di un grande camion. L’assenza del mezzo fisico, semplicemente evocata da una struttura in legno e una copertura plastica è ciò che permette al lavoro di esistere.
Il pieno e il vuoto di oggi corrispondono ancora al negativo e al positivo che troviamo nei suoi lavori passati. L’aspetto illusorio, a tratti cinetico, delle opere che impiegano centinaia di fili colorati, che inevitabilmente confondono l’occhio e lo sguardo, non sono altro che la trasposizione su larga scala dello stupore che si prova di fronte ad un’imponente larva meccanomorfa delicatamente ridisegnata.