Curata da Giovanna Calvenzi, questa personale ha compreso una serie 29 fotografie vintage uniche nel loro genere, stampate ai sali d’argento dallo stesso Basilico, mai vendute né ristampate. Inoltre una sala è stata dedicata al video documentario del regista Giampiero D’Angeli sulla vita e il lavoro del fotografo, prodotto da Giart in collaborazione con Contrasto.

Nell’estate del 1970, quando ancora non ha deciso quale direzione avrebbe preso la sua vita, Gabriele Basilico in- traprende un lungo viaggio in auto dall’Italia all’Iran con un gruppo di amici. Ha con sé due macchine fotografiche e ha intenzione di realizzare un reportage di viaggio con la speranza poi di poterlo vendere a qualche giornale. I suoi modelli di riferimento visivo sono i grandi fotografi dell’agenzia Magnum e la tradizione del fotogiornalismo. Pur nella distanza che le immagini dell’Iran manifestano rispetto allo stile che diventerà suo negli anni seguenti, con queste immagini Basilico dichiara implicitamente il fascino che le geometrie del costruito hanno già su di lui. La vita nelle città e lo spazio architettonico si alternano nella sua indagine e Iran 1970 rimane, come scrive Luca Doninelli, un saggio importante di Basilico-prima-di-Basilico.

E’ uno sguardo antropologico quello che Basilico che sa cogliere nello stato d’animo degli uomini seduti su delle pietre piuttosto nei bambini che giocano, ma è anche uno sguardo attento alla composizione che ha trovato i suoi primi esperimenti nei coni pietrificati della Cappadocia, nelle moschee, nelle rovine di Persepoli e nelle moschee di Isfahan. Un’esperienza che rafforza il rapporto tra l’artista e l’obiettivo fotografico, un viaggio che contribuirà, poi, a farlo diventare il fotografo delle periferie urbane, delle città del mondo, dei paesi costieri, dei grattacieli brasiliani e delle megalopoli asiatiche.

Quel viaggio alla scoperta dell’Iran di Gabriele (Basilico) e Giovanna (Calvenzi) aveva avuto inizio su una Fiat 124 fornita dal padre “equipaggiata” con «[…] taniche per acqua e benzina, due ruote di scorta, olio a profusione, imprecisati attrezzi che comunque non avremmo saputo usare – racconta Calvenzi –  e tutte le medicine che le esperienze degli altri ci suggerivano; […] una tenda canadese a due posti, due letti da campo, due materassini gonfiabili, un fornelletto, […]» (G. Calvenzi, Dovevamo evitare solo l’Albania. La chiamavano Persia in AA.VV., Gabriele Basilico. Iran 1970, 2015). Un modo semplice di viaggiare, spartano come era ovvio che fosse in quel periodo, ma fortemente motivato dall’interesse di conoscere un paese straordinario nella sua quotidianità struggente e affascinante.

Gabriele Basilico nato a Milano nel 1944, si laurea in architettura nel 1973 e da quel momento si dedica con continuità alla fotografia. La forma e l’identità delle città, lo sviluppo delle metropoli, i mutamenti in atto nel paesaggio postindustriale sono da sempre i suoi ambiti di ricerca privilegiati. Considerato uno dei maestri della fotografia contemporanea, ha ricevuto molti premi e le sue opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private italiane e internazionali.