Nel suo recente lavoro Herbert Hamak immerge le sue vaghe ma ancora riconoscibili immagini all’interno dei suoi “quadri” traslucidi. In breve tempo, le sue opere si sono semplificate in strati di colore, in ombreggiature ai margini o in brillanti di impurità dentro la materia. Tutta questa stabilità è stata sviluppata dall’artista attraverso la metà degli anni novanta mentre,
nello stesso tempo, i suoi “quadri” diventavano rapidamente maestose e più semplici “sculture”. Poi, col passare del tempo, sono state esibite assieme come fossero un’installazione totale, lavori individuali che agiscono e si relazionano l’uno con l’altro, esplodono gradatamente nello spazio visivo dello spettatore come accadde in occasione di Atri o a Castelvecchio a Verona, dove le opere supportarono e vennero supportate dalle costruzioni storiche. Ora tutto questo è giunto ad una maggiore semplicità: dove un tempo c’era un’immagine o un pezzo di differenti colori, ora c’è un buco; dove strati di colore sembravano sporgere dal muro, ora non lasciano altro che uno spazio vuoto, creando una forma che rappresenta una sorta di porta. Alcune di queste opere messe assieme, generano relazioni complesse ed inaspettate tra esse ed i singoli pezzi; ma ora più che mai un singolo lavoro riesce a creare il suo gioco di trasparenze interne e di riflessi. L’immagine che si crea all’interno è ancor più evidente che in passato sebbene ora sia paradossalmente assente, un vuoto. Questa è la verità: quello che è presente con più forza, non è tanto un qualche discorso filosofico astratto ma una nuova sinuosità visiva e allo stesso tempo concreta.