Dopo aver sfidato il tempo e la storia stessa, dopo aver ricalcato le orme di grandi come C. D. Friedrich e J. M. W. Turner, Hiroyuki Masuyama torna a rileggere l’arte del passato.
Il salto indietro questa volta è però notevole e la lettura dei suoi lavori non può prescindere da un punto di partenza temporale che si colloca addirittura nell’Antica Roma e passando per l’epoca Rinascimentale, giunge fino al contemporaneo.
Ancora una volta tutto è presente sulla stessa scena. La ri-costruzione forzata messa in atto dal collasso temporale (si sfora quasi nell’a-temporale), ci ricorda che l’arte del XXI° secolo è ancora una citazione dei motti Futuristi. I tempi sono di certo maturi e formalmente non ci troviamo più di fronte alle pennellate elettriche e impazienti di Umberto Boccioni (La Città che sale, 1910).
La città qui non sale, scorre, anzi, corre al punto tale che il dinamismo è diventato iper dinamismo.
I nuovi lavori in mostra di Hiroyuki Masuyama (stampati su carta, come a voler imitare le incisioni di un tempo) fotografano i paesaggi romani che in passato artisti come Marco Sadeler, Giovanni Antonio Canal, Giambattista Piranesi, Luigi Rossini e J. M. W. Turner hanno ritratto.
Il fil rouge con le inquadrature futuriste è evidente. Lo scorrere del tempo, la corsa verso il futuro e la rappresentazione dinamica della scena sembrano ricordare che il tutto è nell’istante. Trecento immagini vengono riassunte in una sola; l’Epoca Romana, quella Rinascimentale e quella contemporanea si uniscono in un rimando singolo, volto a dare vita ad un nuovo immaginario e utopico angolo di tempo.
Quello che rimane in sospeso è il giudizio della storia e il peso della responsabilità. Le fotografie, con una provocazione implicita, appaiono come un monito che ci porta a riflettere sulle condizioni avverse nelle quali giacciono i monumenti storici italiani.