L’opera di Jacob Hashimoto a prima vista, ci attira per la sua ricchezza ma questo può anche presentare un problema: c’è il rischio di rimanere affascinati dalla moltitudine di variazioni e di dettagli da perdere di vista il concetto e l’insieme. Questo è il principale motivo per cui questa mostra si limita ad un solo aspetto del lavoro di Jacob Hashimoto.
Tutte le opere presenti sono a parete e consistono di elementi ripetuti, sospesi e uniti tra loro da fili. L’opera più grande, una moltitudine di ellissi con strisce di carta di colore verde incollate sopra, potrebbe essere considerata l’opera principale della mostra, e non solo per la sua grandezza. E’ l’opera che rivela più chiaramente gli interessi e i concetti sviluppati nelle altre opere esposte. L’incontro e l’interpenetrazione tra cielo e terra sono qui mostrati nella loro grandezza e nella loro semplicità, ed è qui che comprendiamo più chiaramente come il lavoro di Hashimoto sia fatto di similitudini piuttosto che di metafore: non allude ma è.
Tutto questo è sviluppato e soggetto a variazioni infinite nelle altre opere in mostra. Nei lavori più piccoli, lo spazio fisico, quello degli elementi in rapporto alla parete, è ovviamente molto più concentrato ma anche complicato dal colore. La profondità è sempre tangibile anzi, ha spesso la profondità della mano stessa. Visivamente è costantemente contrastata ed arricchita da grappoli di elementi, minuti e coloratissimi, che inducono l’occhio a credere di vedere fitte masse collegando gli elementi a noi vicini a quelli addossati alla parete e respingendo gli altri dal fond verso noi. Superficie e profondità s’intrecciano con il risultato che le opere vibrano come i dipinti di Seurat.
Queste opere ci portano automaticamente a pensare alla natura, agli orizzonti, alle nuvole e fiori; ciò è tanto parte della loro essenza quanto la loro semplicità strutturale fa sì che la loro ricchezza non diventi mai leziosità.