Jacob Hashimoto, nato negli Stati Uniti nel 1973, è da un certo punto di vista decisamente americano, tuttavia recupera in profondità ed in maniera assolutamente creativa piuttosto che imitativa la sua eredità giapponese. Potrebbe quindi sorprendere il fatto che l’artista goda di un largo e crescente successo in Europa, ma ad un’analisi attenta s’intuisce che il motivo principale di questo interesse è che, paradossalmente, Hashimoto ha un approccio alla ricerca artistica molto europeo, riconducibile all’esperienza esaltante che si prova entrando nella cappella Cornaro di Bernini a Roma, per esempio, o nel palazzo di Neumann a Würtzburg. Nel suo lavoro – così come nell’Europa del diciassettesimo e del diciottesimo secolo – si coglie, infatti, la medesima accezione di un’arte che è, allo stesso tempo, architettura, pittura e scultura, in perfetto ed armonico equilibrio nello spazio: ‘rapimento spaziale’ come ha detto Pevsner.
Hashimoto non teme l’illusionismo manierista o barocco, ma una sottile discriminazione gli impedisce di ridurre la sua arte a mero trucco teatrale o ad elucubrato esercizio cerebrale. L’ultimo sviluppo del suo lavoro in cui, al posto di cascate di aquiloni, si ergono colline e onde, è altrettanto delicato. E, come in precedenza, anziché un senso di oppressione dominava un senso di levità, ora c’è un senso di sollevamento. La delicatezza delle sue forme, che scendono e avvolgono o che si espandono e salgono, crea spazio tanto per lo spirito quanto per il corpo.