Dopo il successo della mostra Recursions & Mutations, organizzata da Studio la Città sull’Isola della Giudecca in occasione della 58a Biennale d’Arte di Venezia, Jacob Hashimoto prosegue la sua ricerca artistica arricchendo di nuovi lavori la sua personale, inaugurata a Verona lo scorso maggio.

Oltre alle ormai note opere a parete composte da coloratissimi aquiloni, l’artista propone qui anche inediti lavori su carta – pezzi unici e tirature limitate – nonchè un’installazione sospesa riadattata allo spazio della galleria, con una forma e una combinazione di elementi in resina assolutamente nuovi.

Quest’ultima, proposta a Venezia in una dimensione più monumentale, é così descritta dallo stesso Hashimoto nell’introduzione al catalogo che accompagna la mostra: “The Dark Isn’t the Thing to Worry About – la grande installazione sospesa a cui ho lavorato e che è cresciuta negli ultimi due anni – ha vissuto le proprie mutazioni naturali mentre la esponevo in vari luoghi. Nel momento in cui Hélène mi ha chiesto se fosse possibile portarla a Venezia, era al SITE Santa Fe. Le avevo spiegato che, come era già accaduto in passate reiterazioni della scultura, avrei creato una serie di elementi addizionali appositamente per questa versione.” E poi prosegue: “Immagino che si potrebbe definire la mia arte ricorsiva e mutante: come sistema ricorsivo, utilizza spesso il linguaggio e le convenzioni dell’arte per parlare di arte. Sperimenta e ruba, configura e riconfigura, basandosi su esperienze pregresse, sulla storia dell’arte, del design, dell’uomo e così via. Questo sistema non può esistere autonomamente, in quanto è legato, facendone parte, alla sequenza e alla definizione dell’arte stessa – e, per estensione, dell’umanità”.

In questo modo l’artista continua a Verona il suo lavoro sull’intersezione tra paesaggio e astrazione, diversificando molto misure e colori, proponendo anche lavori piccoli, composti da moduli geometrici in carta giapponese con minuziosi collages variopinti. Tutte queste sovrapposizioni stratificate e leggerissime però, sono accomunate dalla continua ricerca sulla modularità: nelle opere di Jacob Hashimoto, i singoli componenti agiscono come delle molecole che, unendosi secondo modelli ben studiati, danno vita a veri e propri ecosistemi, siano essi naturali, vegetali o artificiali.

Daniele Capra analizza in questo modo le ultime opere realizzate da Hashimoto: “il suo è un lavoro pittorico processuale ed ibrido, in cui egli smembra e poi ricompone in forma tridimensionale l’immagine, grazie all’impiego di più piani visivi collocati parallelamente. Tale approccio rompe l’assunto della planarità della pittura e della prospettiva come modalità di rappresentazione della profondità dello spazio, spingendo l’osservatore a praticare una lettura dell’opera in una condizione di dinamismo del corpo”.