Il lavoro di Julia Mangold arriva all’essenza della scultura: volume, peso, spazio ne sono le componeneti sostanziali, filtrate attraverso la recente storia dell’espressione plastica, memore dei concetti di “struttura primaria” e di “minimalismo”. Tutte le opere mirano alla costituzione di un equilibrio sia concettuale, che visivo, che fisico, in virtù di minime varianti, di slittamenti operati nel rapporto tra le forme, solitamente costituite da parallelepipedi in acciaio: seguendo l’insegnamento architettonico razionalista, per cui “il meno è il più”, la progressiva rarefazione messa in scena dalla Mangold, il gioco delle relazioni tra gli elementi costitutivi dell’opera – due, tre variazioni sulla stessa forma – arrivano a ribaltare l’aspetto razionale dell’operazione, per attingere a un livello quasi mistico dove l’apparizione conta come e più della “costruzione”.