Ecco come Giovanna Calvenzi, in un suo recente testo del 2014, descrive il lavoro di Vitali: una ricerca allo stesso tempo sul paesaggio e sull’antropologia di chi lo popola.
Per “scoperta del paesaggio” Vitali intendeva la sintesi tra una pratica complessa, che prevedeva l’utilizzo di raffinate e pesanti strumentazioni, e l’aderenza a una corrente cultural-creativa che in quegli anni godeva di una certa felicità. I primi importanti esercizi di visione li realizza nel 1994, sulle spiagge vicino a dove vive. Utilizza un cavalletto alto 7 metri sul quale installa se stesso, un assistente e una fotocamera di grande formato e inquadra un paesaggio che nel corso della giornata si animerà sempre di più di presenze umane.
[…]da questa altezza privilegiata – che nel tempo diventerà una costante imprescindibile della sua visione -, Vitali racconterà, oltre alle spiagge, altri luoghi di aggregazione di massa: le discoteche, le piazze, le piscine, le stazioni sciistiche, i riti e i rituali dei luoghi del tempo libero ma anche grandi aziende, stadi, palazzetti sportivi. [… ] Poi il fascino del paesaggio ha avuto il sopravvento e in anni recenti la sua attenzione non cerca più, o non soltanto, le folle ma anche la meditazione che la visione ampia e pacata dei luoghi consente. Rimane inalterato “il punto di vista del principe”, cercato caparbiamente con il macchinoso rito del montaggio del cavalletto e delle attrezzature, quasi scotto da pagare anticipatamente per il raggiungimento della creazione dell’immagine, ma la descrizione analitica dei comportamenti collettivi viene affiancata da panorami vasti, da orizzonti, dalla scoperta – nuovamente – del paesaggio.
Giovanna Calvenzi, febbraio 2014