La mostra “iononrappresentonullaiodipingo”, tenuta nella mia galleria nel 1973, è forse la prima in cui si palesa quella tendenza di riflessione sulla pittura che oggi si chiama “Pittura analitica”, e che allora prendeva anche il nome di “Nuova pittura” o di “Pittura pittura”. Chiedersi se fare pittura avesse ancora senso, in un’epoca di forti sperimentalismi, di concettualismo trionfante, e di lotta contro un sistema artistico che vedeva nella pittura – e di conseguenza nel “quadro” – il simbolo della possibile mercificazione dell’arte, costituiva il movente principale di un gruppo di artisti che istintivamente, sentimentalmente e razionalmente non volevano rinunciare a questo strumento per puri motivi ideologici.
Sotto questa “bandiera” si sono raccolti anche artisti disparati, provenienti da esperienze diverse e diretti verso esiti altrettanto diversificati, ma tutti sono stati concordi nell’indagare le ragioni della pittura in un momento storico in cui questa era stata messa fortemente in discussione come strumento della contemporaneità. Per questo, gli artisti italiani che nel corso di quel decennio – gli anni Settanta del XX secolo – sono stati individuati come “analitici” non possono essere compresi in un movimento ideologico vero e proprio – come ad esempio i francesi del gruppo BPMT o Support/Surface -, ma al massimo in una tendenza ideale, sotto la problematica “copertura” del concetto di “pittura” come strumento e fine. Tuttavia, la messa in discussione della pittura tout court, i cui strascichi manichei si vedono ancora oggi in Italia, consentiva l’accorpamento di artisti diversi che avessero però come postulato di base l’idea che invece questa pratica fosse ancora vitale e propositiva: di qui, le presenze a volte lontane tra loro di alcuni di essi nelle stesse mostre, di qui la varietà delle esperienze italiane in tal senso – di cui si possono apprezzare alcune e rigettare altre, ma che tutte insieme hanno costituito un “filone” riconosciuto -, di qui le polemiche di allora e di oggi. Ciò che va però considerato oggi è l’aspetto storico della tendenza, con tutti i possibili errori e devianze ideologiche: un eccesso di “purezza” concettuale rischia infatti di cancellarne la memoria in uno sterile gioco al massacro.
Marco Meneguzzo