Il titolo della mostra di Paolo Patelli è preso in prestito da una recensione che Gian Piero Vincenzo gli dedicò nel 1989. In quegli anni Patelli dipingeva forsennatamente grandi opere partendo dalla misura 100 x 70: una tecnica mista su carta dove non manca il collage o qualche squarcio, il tutto incorniciato in una sottile cornice bianca o nera con vetro o Plexiglass. Dalla moltiplicazione di quella misura prendevano avvio opere che arrivavano fino a 4 metri. Artista di grande esperienza, definita da un’incontenibile ricerca e da una continua sperimentazione che ha distinto periodi diversi della sua carriera artistica. Ma è alla fine degli anni ’80 che proprio la “pittura pittura” ha il sopravvento, e lui stesso dice:
Dipingo il concetto di pittura, dipingo l’atto del dipingere, dipingo da trent’anni (e un po’ di più) lo stesso quadro, dipingo come scrivo, dipingo come Lester Young suonava il sax (meno bene), dipingo per distruggere lo spazio della pittura, dipingo per crearne uno mio, dipingo perché sono allegro, dipingo perché sono triste, dipingo per non morire (come tutti), dipingo perché amo la vita. Non so cosa la gente farà della mia pittura, né di quella di tutti gli altri.
La mostra presenta proprio il suo periodo più produttivo quando le sue opere seducevano il grande pubblico delle fiere italiane e internazionali. Le opere vanno dal 1988 al 1991 con l’obiettivo di riproporre oggi un modo ancora attuale di essere pittura: fisico, materico, colorato, agito.