Atmosfere sospese: non ci sono luoghi riconoscibili e neppure un tempo preciso. Tuttavia stiamo parlando di immagini fotografiche e, dunque, di tracce, di registrazioni di situazioni apparentemente reali. Dove sta il trucco? Sono i microcosmi che Paolo Ventura costruisce e poi fotografa. Come dei set cinematografici, ma anche qui nessun riferimento preciso: il Neorealismo, i noir francesi, il cinema tedesco di Fritz Lang.

Vecchi vagoni di seconda classe, muri di palazzi grigi, cortili di una città che potrebbe essere tante città. È un inverno perpetuo, in cui fanno capolino le luci di una vita appena accennata.

I personaggi sono pupazzi truccati e vestiti alla moda di tempi diversi: non c’è nessuna bramosia filologica nelle sue ricostruzioni. Il suo è un lavoro lento, costruito con pazienza, progettato con attenzione per il dettaglio.

Ma anche il circo, che di per sé è senza tempo: funamboli, giocolieri, ballerine, clown. Le atmosfere sono malinconiche, è la precarietà dell’esistenza.

Un povero Arlecchino è steso sul letto in una stanza in cui domina la solitudine. Il sapore d’insieme rimanda ai mondi di Antonio Donghi, pittore amatissimo.

La ricerca di Paolo Ventura non è sul medium, sul linguaggio fotografico, è, piuttosto, tesa a ricreare atmosfere di matrice pittorica con un linguaggio diverso da quello della pittura.

Si potrebbe, forse con una forzatura, rintracciare in questo lavoro una moderna matrice pittorialista. Se non altro nell’atteggiamento di fronte al mezzo utilizzato.

Angela Madesani, 2009