Il lavoro di Calzolari è quanto di meno ripetitivo e scontato sia dato nel panorama artistico degli ultimi cinquant’anni, così come il suo percorso non è immediatamente riconducibile a schemi precostituiti. L’arte, per lui, è luogo di trasformazione che si avvale di materiali effimeri e precari.
Se fino al 1972 egli ha privilegiato l’uso di sali, ghiacci, animali, vegetali, nel decennio successivo la sua attenzione si è venuta focalizzando su “azioni” che utilizzavano elementi dell’architettura, della danza, del teatro, del cinema, con soluzioni e innesti dalla letteratura e dalla musica. Al termine di questa fase, nel 1979, era la pittura ad avere il sopravvento e a modificare il quadro di riferimento. La fase successiva, culminante in una serie di grandi dipinti ad olio, pone in essere con strumenti differenti le medesime esigenze di ricerca attorno al sublime che resta ancor oggi il punto centrale della sua ricerca.
Nella fase più recente del lavoro di Calzolari il dialogo con la storia si è fatto più serrato, quasi a sviluppare quell’attitudine “a determinare incontri” dichiarati già nel 1969 nel suo testo La casa ideale. La mostra allo Studio la Città è densa di innesti e sorprese: tavoli con oggetti sollevati dall’acqua e quadri monocromi d’oro, di bianco e di nero; treno elettrico con pentola di minestra che bolle e fogli macchiati dal nero fumo delle candele; installazione esterna con vestito che danza all’aria sostenuto da un grappolo di palloncini. La modulazione in quanto modo serenamente variabile: la danza, la pittura, la scultura e la performance sono condotte a nuove sintesi.