Un vecchio adagio del mondo dell’arte recita che la ricchezza dei galleristi sta in ciò che non hanno venduto, piuttosto che in quello che hanno venduto, nel senso che il tempo – sempre galantuomo – rivaluta enormemente quelle opere che al momento della loro esposizione in galleria non sono state capite, perché troppo anticipatrici o difficili, e sono rimaste in magazzino (o quelle opere che il gallerista ha deciso di tenere per sé …). Quel che Hélène non ha venduto – o non ha voluto vendere – è una nuova mostra, attualissima, che è il sunto di cinquant’anni di scelte, e la sintesi di cinquant’anni di autoritratti. Il curatore descrive così la genesi della mostra, come una sorta di percorso lungo cinquant’anni, le cui tappe fondamentali sono costituite da lavori emblematici degli artisti che hanno contribuito alla definizione del personalissimo “stile” di Hélène de Franchis. Nel testo che accompagna la mostra, Meneguzzo individua a ragion veduta un comune denominatore sia per i pezzi esposti che, più in generale, per tutti i progetti artistici proposti da Studio la Città nell’arco di cinquant’anni: sobrietà ed eleganza.
E’ come se gli artisti della galleria, i più assidui, promettessero sempre qualcosa al di là di quanto espongono, un surplus di significato che può essere scoperto quando quella specie di naturale ritrosia viene aggirata dall’empatia dello spettatore.
Ripercorrendo le stagioni della galleria, questa mostra realizza al contempo l’autoritratto di una gallerista, ma anche un viaggio attraverso varie correnti dell’arte contemporanea italiana e internazionale, dagli anni ’50 ad oggi. Dalle ceramiche di Lucio Fontana, passando poi per l’astrattismo monocromo e iridescente di David Simpson, attraverso i grandi nomi dell’Arte Povera con i neon di Pier Paolo Calzolari, le sculture di Ettore Spalletti, fino ai più recenti lavori degli americani Emil Lukas e Jacob Hashimoto.