Some views of Africa è una mostra dedicata ad artisti originari da diversi paesi del continente africano: Sud Africa, Camerun, Ghana, Ruanda. Dalle loro opere emerge un continente variegato e in preda a una trasformazione vigorosa. Un continente che vive uno sviluppo in cui novità e tradizione convivono e s’innestano l’una sull’altra dando adito a una continua reinvenzione di modi di vivere e di intendere la società, la relazione con l’altro e con l’ulteriore.

Il lavoro degli artisti individuati esprime l’attuale posizione geo-culturale dell’Africa rispetto al contesto globale, e racconta paesi segnati da tensioni sociali irrisolte e da una pesante eredità postcoloniale, ma percorsi da sogni, da desideri, da grandi energie del cambiamento.

Basti guardare le fotografie della serie The Hyena & Other Men in cui Pieter Hugo ritrae un gruppo itinerante che percorre le strade della Nigeria esibendosi con iene, pitoni e babbuini. L’interazione tra gli hyena men e i loro animali, basata com’è sulla familiarità, ma anche sul dominio e sulla sottomissione, dice di una relazione complessa tra natura e cultura, tra dimensione moderna urbana e dimensione tradizionale.

Ma le sfide e la metamorfosi che i paesi africani stanno affrontando non riguardano solo loro. È sempre Pieter Hugo a ricordarcelo con la sua serie Permanent Error, riferita ai rifiuti elettronici di cui l’Occidente si disfa spedendoli, spesso illegalmente, in paesi come il Ghana. Anche nel mezzo di queste distese di rifiuti, però, la soggettività trova il modo di emergere.

Laura Nsengiyumva, figlia della diaspora ruandese in Belgio, racconta che l’Africa è terra di tragici conflitti e di massiccia migrazione. Nella videoinstallazione 1994 Nsengiyumva fa riferimento, senza indulgere, alla tragedia che il suo paese ha attraversato negli anni Novanta e alla drammatica posizione di chi, avendolo lasciato, quella tragedia l’ha vissuta da esule.

Anche Mikhael Subotzky racconta la realtà cangiante del Sud Africa. Presso Studio la Città ha presentato un gigantesco puzzle composto da delle sue fotografie: immagini dirette di realtà talvolta brutali, dalle quali emergono le drammatiche tensioni, la presenza di sacche di marginalità, di vulnerabilità; ma pure la forza e la sfaccettata ricchezza di carattere. Nell’insieme però ciò che conta sono la riflessione sullo sguardo e sulla rappresentazione stessi, e le relazioni e i rimandi che, in questo caleidoscopico insieme, si vengono ad istituire tra un’immagine e l’altra.

Philip Kwame Apagya, nella cui famiglia il mestiere di fotografo si trasmette di generazione in generazione, utilizza la pittura per aggiungere all’immagine del soggetto l’espressione delle sue aspirazioni: in un salotto arredato per bene con televisore al centro, in viaggio a Montecarlo, di fronte a una casetta un po’ chalet un po’ cottage, con torretta e tetto appuntito in tegole rosse; ecco dove si i soggetti ritratti sognano di trovarsi. A risultare evidenti sono da un lato l’attrito tra lo sfondo di carattere occidentale e l’abbigliamento tipicamente africano dei soggetti, dall’altro l’ibridazione tecnica del ritratto dipinto con la fotografia a colori.

Infine Lawrence Lemaoana: il suo lavoro riguarda il modo in cui idee, concetti e stereotipi vengono creati e assunti, agiti.

Lo sport nazionale del Sudafrica, il rugby, costituisce lo spunto per un’intera serie di opere; in Sudafrica il rugby si connota infatti come forte elemento di identificazione: sport maschile, bianco, giocato dai discendenti degli anglosassoni e dei boeri. L’artista fonde scene riferite al rugby e iconografie classiche, religiose, fortemente retoriche e tipiche della storia dell’arte occidentale; da questa convergenza scaturiscono scene idealizzate di mascolinità cui però l’artista dà forma cucendole. Il predominante color rosa, l’utilizzo di una tecnica tipicamente femminile e di modelli figurativi occidentali conferiscono alle sue opere un graffiante carattere critico.

Tutt’altro che univoca, tutt’altro che pacificata, la mostra ha offerto dunque come un insieme di punti vista di artisti particolarmente sensibili al loro luogo di origine e al loro contesto di vita.