Un racconto in sei stanze è il titolo della mostra, curata da Angela Madesani, che si è tenuta a Palazzo Barbò dal 15 maggio al 17 luglio 2016. Otto gli artisti internazionali della galleria Studio la Città di Verona, presenti con opere e installazioni. È la seconda volta che negli spazi cinquecenteschi di Palazzo Barbò si presentano storie di galleristi. La gallerista Hélène de Franchis, che nel corso degli anni ha organizzato mostre in musei e spazi pubblici e ha partecipato, tra i primi in Italia, a numerose fiereinternazionali, spiega l’intervento in questo suggestivo palazzo rinascimentale: «Ci sono artisti con cui lavoro molto da tanti anni ed altri con cui lavoro meno, ma le loro opere mi interessano e per ragioni diverse definiscono anche la mia storia di galleria. Per questa mostra ho scelto di mettere delle installazioni di grandi dimensioni, perché le opere piccole, sarebbero scomparse nello spazio; e poi questo è anche – come recita il titolo – un racconto. È il racconto di alcune mie scelte, del mio gusto, lontano dalle mode».
L’esposizione presentava le installazioni di otto artisti: Il Tavolo divisione e moltiplicazione Da zero all’infinito del 2004 di Michelangelo Pistoletto, Fluide propagazione alchemiche, opera di sound art del secondo italiano in mostra: Roberto Pugliese, alcune sculture in resina del tedesco Herbert Hamak, l’armadio con uccellini di terracotta, dipinti, sul tema della migrazione, intitolato Silent Shadows (2015) dell’artista indiana, Hema Upadhyay, recentemente scomparsa. Di altri due artisti indiani Subodh Gupta e Riyas Komu erano rispettivamente Dubai to Mumbai (2006-08), un carrello di ottone con un bagaglio di alluminio e Benevolent Grass (2010), una scultura sul tema del calcio, significativo denominatore comune della nostra epoca.
Dell’americano Jacob Hashimoto erano tre sculture, due Positivo Negativo del 2003 e Water Blocks sempre del 2003 e un’opera a muro, Untitled #8 del 2010, tutti lavori intorno al tema del paesaggio. Sul tema del paesaggio erano anche le lightbox del giapponese Hiroyuki Masuyama. La sua è un’operazione di matrice concettuale sul metodo di lavoro dell’artista inglese William Turner.
I lavori in mostra non fanno parte della collezione privata della nota gallerista: «sono opere che amo, artisti che fanno parte delle mie scelte e del mio lavoro. Ma questo non ha determinato la scelta di esporle. Ci sono quelle, insieme ad altre, senza priorità particolari. Ci sono perché mi piacciono le une con le altre in questo particolare spazio».
Ancora una volta il piano nobile di Palazzo Barbò è stato animato da un dialogo intenso tra opere di arte contemporanea e lo spazio, carico di storia e di rimandi.