Ciò che più amo della fotografia è il suo carattere EMPIRICO – INDAGATIVO – DUBITATIVO. E’ come fosse una macchina straordinaria per immaginare e intravedere il volto complesso, intrigato e sempre sfuggente della realtà.
Non ci sono storie da raccontare ma, forse, modelli da immaginare, e visioni da restituire. La fotografia è il linguaggio più idoneo per ascoltare la realtà come l’insieme di quello che si può vedere e di quello che non si può vedere. La fotografia non si realizza scegliendo il frammento, ma piuttosto invocando la partecipazione simultanea di miriadi di dettagli, impressioni, incidenti, fatti e corpi che si ristrutturano: una cosa nuova in un nuovo quadro di cui non possiamo controllare completamente né la dinamica, né la logica gerarchica. E’ come confrontarsi con il tempo reale cinematografico “montato in macchina” in un unico quadro di lavoro. La fotografia ha la proprietà di associare tutti i tempi e tutti gli spazi.
Più l’autore cerca l’imposizione del risultato, più in qualche modo esso diventa il frutto di una sovrascrittura di suoi preconcetti: la possibile visione evapora e ci mostra solo noi stessi. Il mio approccio ha cercato di condividere simbolicamente i presupposti delle discipline forensi, creare e organizzare i piani visivi come documenti per ricostruire identità ed eventi, la prova della vita a partire dal trauma, e la perdita del corpo e il velo atmosferico. Fotografare significa comprendere la polvere che ci separa dalla cosa che si guarda: è solamente quello, il colore della polvere dell’aria a colorare tutto il resto. Per me, la cosa più importante è questo meccanismo, non la ricerca estetizzante del singolo colore. In questo mio progetto sul Rinascimento Sacro Italiano, la direzione verso la quale ho rivolto lo sguardo è un punto equidistante tra la scultura, la pittura e la polvere. La quantità di tempo che la ripresa necessita è pari alla quantità di tempo indispensabile per fare accadere dei cambiamenti sulla scena. Anche in apparente immobilità, i cambiamenti della luce si sommano. Mi piacerebbe poter cogliere sempre di più il tempo dentro l’immagine.
Vincenzo Castella