
Sarà Giovanni Boccaccio, lo scrittore a cui Certaldo ha dato i natali e di cui si celebrano quest’anno i 650 anni dalla morte, il filo conduttore delle cinque mostre di CertaldoArte25, rassegna di arte contemporanea organizzata dal Comune di Certaldo e patrocinata dal Consiglio regionale, con il coordinamento e il progetto di allestimento di Exponent, che giunge alla sua quinta edizione. Protagonisti dell’evento, che si terrà nelle sale di Palazzo Pretorio da sabato 1° marzo al 18 gennaio 2026, saranno nove artisti italiani e internazionali, le cui opere spaziano da dipinti a sculture, da installazioni artistiche fino ai gioielli
Il 17 maggio si aprirà Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?’ di Arthur Duff (Wiesbaden, 1973) e Antonio Marchetti Lamera (Bergamo, 1964), che esplora i luoghi boccacciani con installazioni luminose, dipinti e un’opera video.
L’esposizione propone un dialogo con i temi e i luoghi cari allo scrittore toscano. Quando Pier Paolo Pasolini, nelle vesti del “migliore allievo di Giotto”, si ritrova davanti all’affresco che va compiendo nella chiesa napoletana di Santa Chiara, si rivolge al dipinto e a chi guarda sussurrando: Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto? È l’epilogo irrisolto di quel Decameron (1971) con cui il regista intese rileggere l’affabulazione di Boccaccio, addentrarsi nel mondo popolare e nel suo gergo, nelle sue storie, nei suoi pochi mezzi ma anche nella sua orgogliosa modestia, dove la sola ricchezza coincide con i sogni, con l’immaginazione, talvolta con le illusioni. Nelle opere dei due artisti in mostra, la domanda posta sin dal titolo conduce l’attenzione verso la forma e lo statuto delle immagini, la capacità che ogni opera assume nel porsi sulla soglia tra rappresentazione e invenzione, tra una memoria e una visione allucinata e onirica.
I lavori pittorici di Antonio Marchetti Lamera, partendo da una ricerca fotografica sugli edifici medievali cittadini e sulla loro stratificazione storico-architettonica, elaborano plasticamente l’intersezione tra i pieni e i vuoti delle masse murarie, sovrapponendo le strutture solide di una costruzione con le sue zone d’ombra, i suoi riflessi, le sue proiezioni immateriali e deformanti.
Della luce e con la luce si compone l’opera di Arthur Duff, sempre intesa come inserto o come innesto conficcato nella carne della storia, con una componente materiale e 8immateriale così dubbia, solida eppure evanescente, stabile e vibrante. Nel ricorso alle corde, ai fili intrecciati, alle trame elastiche e al neon, la scultura si fa rete che si espande, talvolta discendendo dal soffitto come un angelo caduto o come ipotesi di ascesa, altre volte aggrovigliandosi sul pavimento e solcando il suolo come fanno le radici. Nella componente luminosa di ogni installazione, si annidano lettere, parole prive di narrazione o sentenziosità (“No plot”, indica una delle sculture), informazioni ambigue e prive di appigli, di uscite, di soluzioni. È lo spazio il vero oggetto vuoto, cavo e buio, talvolta cosmico – nei lavori dedicati a corpi celesti, meteore e comete – dove accadono le visioni, dove si fanno i sogni, o dove la mente insegue un’idea di trascendenza e di infinito.